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Scintilla e Combustione

 

 

Le due opere a “mosaico” di Mario Deluigi strappate (e salvate) dalla Centrale termoelettrica Teodora (E.N.E.L.) di Porto Corsini progettata da Ignazio Gardella

Convegno organizzato da Paola Babini, Alberto Giorgio Cassani e dall’Accademia di Belle Arti di Ravenna
Interventi di: Giovanni Bianchi (Università di Padova); Angelo Lorenzi (Politecnico di Milano-Polo di Mantova); Ignazio Mancuso (E.N.E.L.)
Introduce: Alberto Giorgio Cassani (Accademia di Belle Arti di Venezia)

 

Proiezione del filmato dello smontaggio dell’opera (a cura di ENEL)

 

Sabato 23 novembre 2019 ore 11

 Sala Martini, Museo d’Arte della Città di Ravenna, via di Roma 13, Ravenna

 

Ingresso libero

 

 

L’artista Mario Deluigi (Treviso, 1901-Dolo (VE), 1978) è l’autore dei due “mosaici” in piastrelle industriali rettangolari – in realtà da lui dipinte a due colori, giallo e nero su fondo bianco –, intitolati Scintilla e Combustione, strappati (e così salvati) da una parete della Centrale termoelettrica Enel “Teodora” di Porto Corsini, in occasione della parziale demolizione in occasione della ristrutturazione della centrale avvenuta verso la fine degli anni Novanta del secolo scorso (su progetto di Michele De Lucchi). La struttura originaria era stata realizzata nel 1959 dalla veneziana S.A.D.E. (Società Adriatica di Elettricità) su progetto di una delle figure più rilevanti dell’architettura del Novecento italiano, l’architetto milanese Ignazio Gardella. Attualmente i due “mosaici” sono conservati, all’interno di una struttura protettiva, sul piazzale di lato alla centrale stessa. Quello di Ravenna è l’ultimo di una serie di mosaici eseguiti a partire dal 1953, sempre su commissione della S.A.D.E., per le centrali termoelettriche della stessa società a Soverzene (BL), Samplago (UD) e Fedaia (BL). Ma il mosaico ha accompagnato la vita artistica di Deluigi, dal 1929 al 1959, con due episodi significativi come il pannello della stazione ferroviaria di Santa Lucia a Venezia (1955-1956) e il mosaico presentato alla Mostra di Mosaici Moderni del 1959, curata da Giuseppe Bovini e attualmente esposto, con quelli degli altri artisti invitati, al pianterreno del chiostro del Museo d’Arte della Città di Ravenna.

Deluigi è stato una figura rilevante dell’arte italiana del secondo dopoguerra, influenzato dal cubismo in gioventù e poi esponente dello Spazialismo negli anni Cinquanta, per poi terminare la sua evoluzione artistica con il periodo dei grattages (i.e. “raschiamento”), tecnica che consiste in “graffiature” effettuate su dense stesure di colore. Deluigi ha insegnato anche, per decenni, scenografia, prima all’Accademia di Belle Arti e poi all’Istituto Universitario di Architettura (Iuav) di Venezia ed è stato grande amico dello scultore mantovano Alberto Viani e del celebre architetto veneziano Carlo Scarpa.

I due mosaici compaiono in una sequenza del capolavoro di Michelangelo Antonioni, Il deserto rosso, girato a Ravenna nell’inverno del 1963 e vincitore, nel 1964, del Leone d’oro al Festival del Cinema di Venezia. Antonioni era un grande conoscitore dell’arte contemporanea: nel film appare un quadro dell’artista Gianni Dova, legato, come Deluigi, alla celebre Galleria veneziana del Cavallino di Carlo Cardazzo, appartenente alla collezione dell’artista ravennate Roberto Pagnani.

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